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sabato 6 agosto 2011

CONTRO LA CRISI, UNITI PER POI REAGIRE.


Siamo in piena crisi economica - finanziaria. Ed essendo noi delle ottime Cassandre, lo avevamo previsto. Il governo ha rassicurato sempre gli Italiani, dicendo che da noi la crisi non ci avrebbe toccato, che eravamo quelli messi meglio, che non eravamo messi come la Grecia o L'Irlanda. Ed ora? Ora, grazie alla forza dei fatti (milioni e milioni DI Euro bruciati in poche settimane) e nascondendosi dietro la crisi che colpirà tutti meno che lor signori, meno che gli industriali (che crisi o no, continuano a chiedere sempre le stesse pretese, visto che mentre i conti pubblici e salari crollano, i loro conti sono ben oltre il positivo, come documenta questo articolo di Domenico Moro), il governo preferisce continuare a favorire le speculazioni con proposte veramente scandalose e inutili con la crisi in atto. Studiando Economia politica, prima di parlare di grafici e formule, ogni buon manuale di macroeconomia ricorda che spesso la politica economica atta ad correggere o promuovere l'economia può essere nociva se non attuata nell'immediato, perlomeno attuata un frangente dopo, perché spesso le politiche decise a marzo,per esempio,per una crisi di febbraio possono non andare bene per il mese successivo. Ebbene, con le proposte presentate ieri da Tremonti e Berlusconi, il governo ha deciso, invece, di regolarizzare, anzi rendere costituzionale, il mercato e la crisi. Mettere in costituzione la teoria del pareggio di bilancio, significa mettere una vera utopia. Quando esso si avvera, l'altro piatto della bilancia vede salassi e disperazione nei ceti medio bassi e bassi (cioè, quello che avverrà già il prossimo anno, grazie all'anticipazione degli effetti della manovra, votata con gravi responsabilità bipartisan). Cambiare l'art. 41, introducendo il concetto liberalista "cio' che non è vietato, è libero" e togliendo il principio dell'utilità sociale, significa rompere il patto con cui i nostri Padri Costituenti hanno fatto nascere la Repubblica e la Costituzione; poi affrontare la crisi con due proposte di modifica costituzionale (tempo minimo: 9 mesi, con maggioranza qualificata e senza richieste di referendum costituzionale sulle questioni), significa mettersi nel ridicolo più assoluto, per dirla come Ennio Flaiano: "la situazione è grave, ma non seria". Ma la parte più ridicola non è il governo, ma sono le parti sociali, che fanno insieme alla Confindustria richieste ancora più a destra di questo governo (nella CGIL la discussione sarà veramente aspra, come testimonia l'intervista a Sergio Cofferati). Ma abbiamo qualche speranza? io credo di sì. A sinistra le idee non mancano (Stefano Fassina del PD sul manifesto, lo stesso Cofferati, ecc). Quando si è assediati, l'unità ti fa sovravvivere per poi reagire.

giovedì 4 agosto 2011

GALBRAITH: L'EUROPA E' CONDANNATA SE NON SI RIFORMA



L'economista americano James K. Galbraith evoca la storia dell'URSS e del confederalismo degli Stati Uniti per sottolineare il declino dell'Europa e l'urgenza di riformare la sua struttura.


Il crollo dell’impero sovietico, seguito poi da quello dell’URSS nel 1991, sono stati relegati ai confini della storia, delle coscienze occidentali.

Ma questi eventi dovrebbero ricordarci che le costruzioni politiche non sono eterne. Il comunismo ha lungamente rappresentato una minaccia pressante di fronte ai suoi avversari capitalisti. Ma le speranze portate un tempo possono crollare di colpo, secondo l’evoluzione delle circostanze.

L’Europa, alla sua creazione, e dopo la sua espansione dopo la fine della guerra fredda, formava un progetto politico brillante. Il suo obiettivo non era il potere ma la pace. Una visione del mondo veramente nobile.

Ma questo nobile progetto si è costruito su dei sistemi economici incapaci di rimettersi in causa, su un credo anacronistico del potere dei mercati, e su una ideologia monetarista, accompagnata da criteri arbitrari in materia di deficit e debito pubblico.

All’alba di una débacle finanziaria mondiale, tutto ciò non ha più nessuna utilità. Bisogna rapidamente abbandonare questi principi. Sennò, l’Europa sarà condannata. Esattamente come il comunismo ha condannato i paesi dell’ex impero sovietico.

UNA COSTRUZIONE DIFENSIVA.

L’Europa è combattuta tra due strutture stabili: uno stato federale da una parte, e una comunità di stati dall’altra. Un modello intermedio esiste, che si chiama “confederazione”: esso fallì per due volte negli Stati Uniti, l’ultima risalente al 1865.

Il Sud perse la guerra civile, in parte perché lo Stato centrale beneficiava di troppo potere. Ciò ha complicato la raccolta dei fondi, come degli uomini, per proseguire la battaglia. Dopo questa sconfitta, bisognerà attendere circa 70 anni - fino il New Deal di Rooselvelt nel 1933 – affinché vengano prese delle misure, per tentare di porre fine alla povertà, alla stagnazione economica, nel Sud degli Stati Uniti. Il mondo contemporaneo ha dimenticato ugualmente questa parte di storia.

La crisi mondiale (scoppiata nel 2007, ndr) ha colpito in pieno ciò che faceva la specificità dell’ Europa, quel miscuglio di idee economiche d’altri tempi e di una struttura politica instabile. Minati dai loro portafogli di azioni americani tossici, gli investitori hanno cercato di ridurre la cassa, sui mercati, con la vendita di titoli di debito sovrano emessi dai “piccoli” paesi indeboliti: Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna.

DEI PROBLEMI IGNORATI

I rendimenti di questi debiti sono allora esplosi. Nello stesso tempo, i rendimenti sui debiti degli Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito cadono. Noi scopriamo da un giorno all’altro che la Grecia è stata gestita male o che i fondamentali caretterizzanti il boom immobiliare in Irlanda, non erano sani. Queste cose erano conosciute. La novità è stato prima il crollo dei mercati finanziari, dopo il rifugio per gli investitori di qualità (flight to safety), e le onde della speculazione predatoria che seguirono.

E poi si è verificato quello che succede ogni volta, in una crisi del debito: una crisi di solvibilità del settore bancario.

Questo è quello che è già successo negli anni '80, quando l'amministrazione Reagan si sentì in dovere di preparare un piano segreto per nazionalizzare niente meno che le maggiori banche di New York, nell’ipotesi in cui uno dei loro creditori in America Latina fosse stato carente. Questo è anche ciò che è accaduto nel 2008-2009, quando il problema numero uno della politica americana era quella di fare di tutto per evitare il collasso imminente della Bank of America, Citigroupe e altri.

È evidente che l'Europa politica lotta per una sola cosa: trovare il modo per soffocare le difficoltà delle sue banche. Ci sono stati stress test bidoni, prestiti supplementari, nuovi cicli di negoziazioni movimentate , critiche contro la prodigalità della Grecia o di un altro paese ... In breve, abbiamo ottenuto tutto, tranne che un esame onesto del cuore del problema.

UNA SITUAZIONE INTOLLERABILE

Oggi, la Grecia, sotto la guida di un governo deciso, e malgrado una contestazione importante al suo interno, ha adempiuto alle condizioni onerose che le erano state imposte. Ma per fare cosa?

Per ottenere dei prestiti che saranno immediatamente riciclati dalle banche europee. Che non miglioreranno le prospettive della Grecia e faranno gonfiare il suo debito. I tassi d’interesse sui mercati non si abbasseranno, la crescita non riprenderà, e le riforme necessarie che dovrà adottare, non saranno facilitati. La situazione è intollerabile e non è più possibile prolungarla a lungo.

Se seguiamo questa strada, ci saranno all’orizzonte solo difetti, panico, implosione della zona euro, iperinflazione nei paesi che usciranno dall’Euro, e il crollo delle esportazioni nei paesi che decideranno di restarci.

Seguendo questo corso, assisteremo a importanti emigrazioni di popolazioni - come quello che è successo nel sud degli Stati Uniti. Se L’Europa continuerà a impoverire la sua periferia, bisognerà aspettare coloro che subiranno in pieno questa decisione, restare seduti e contemplare il loro destino.

Ma esiste un’altra strada. Ciò significa assumere delle responsabilità comuni, che permetteranno di rinforzare la convergenza delle economie europee, attraverso politiche di sostegno. I debiti sovrani in eccesso rispetto al massimale fissato dal trattato di Maastricht, potrebbero essere trasformati così in eurobond (debiti sovrani europei). Un programma d’investimento pubblico – privato permetterà nello stesso tempo di rilanciare la crescita e l’occupazione, in conformità a ciò che alcuni dei più saggi dirigenti europei hanno proposto, qualche giorno fa, in un manifesto. In un processo che dovrebbe passare attraverso delle riforme costituzionali, che permetteranno di adattare l’Europa, e le sue politiche, alle realtà del dopo – crisi.

L’Europa si trova dunque di fronte ad una scelta, che deve decidere rapidamente, come disse Charles de Gaulle nel 1969, “tra il progresso e la rivoluzione”.

da blogs.mediapart.fr (traduzione di Giuliano Sdanghi)